Ho conosciuto Giorgio Pasolini in un momento particolare dell sua produzione artistica: grandi tele ricoperte da strati di materia,una materia ruvida, grumosa e poi rasoiate di colore che attraversavano il quadro e ne costituivano l’essenza.
Opere sintetiche, qualcuna di sapore quasi informale eppure di facile interpretazione, di lettura immediata: c’era in queste opere l’amore di Pasolini per il suo paesaggio, l’attaccamento alla sua terra, si avvertiva in esse il peso della materia e la leggerezza dell’aria.
Si ispirava, principalmente alla sua pianura, qualche volta al mare o alla vastità dei cieli e degli spazi siderali dove l’uomo volentieri si perde e sogna.
Pasolini è fondamentalmente “uomo di ricerca” e come tale mai pago, mai soddisfatto dei risultati raggiunti, anche quando questi sono di buona resa pittorica e di evidente efficacia espressiva. Capita così che quando pensi di avere compreso il suo mondo e la sua poetica, il suo sentire e il suo modo di “fare arte” lui d’improvviso ti spiazza cambiandone i canoni e proponendoti nuove invenzioni.
Ho rivisto recentemente le sue ultime creazioni: identica la tecnica, identica la sicurezza d’esecuzione e l’intensità poetica, ma qualcosa di nuovo e di imprevedibile è entrato nella sua pittura: è quel modo particolare di intendere la luce, quel fascio cromatico che entra e circonda alcuni particolari fino ad accenderli di una luminosità interna: luce abbagliante, a volte diretta, a volte diffusa, a volte ancora filamentosa e scheggiata.
Quando entra in questa luce, la sua pittura diventa fluente e sorgiva, scatta, si muove e zampilla come un rivolo d’acqua fresca, parte da un particolare (la parte anatomica di un corpo umano, un albero, una foglia) e poi improvvisamente fugge verso la trasfigurazione, verso mondi ignoti.
Questa luce, che caratterizza buona parte del quadro, cattura lo sguardo dell’osservatore e lo porta oltre il limite del dipinto, oltre il visibile e il percettibile, oltre quello che costituisce la quotidianità e la realtà pura e semplice.
Rappresenta, forse inconsciamente, il desiderio di uscire dal proprio “io”, dalla routine monotona e noiosa dalla normalità per poter volare alto in un mondo diverso, pulito e casto?
Quello di Pasolini è certamente un linguaggio profondamente allegorico, intrigante e forte, un influsso dell’anima e della coscienza.

Luciano Carini “La nuova luce di Giorgio Pasolini” Calcio (BG) 1997

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